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Parthenope

"Era già tutto previsto", come canta meravigliosamente Riccardo Cocciante. Il film di Paolo Sorrentino non mi ha sorpreso. Per certi versi era già tutto previsto, perché Sorrentino può essere prevedibile nel suo voler essere il Fellini di Napoli e parlare della sua città e del suo rapporto di odio-amore, come faceva il maestro con Rimini. Napoli nobile e stracciona, Napoli delle case aristocratiche e dei bassi e delle prostitute dei quartieri spagnoli, Napoli colta e superstiziosa. Ero indeciso se vedere o meno il film (o almeno di farlo subito), anche per l'eccesso un po' fastidioso di promozione e di giudizi lusinghieri alla Fabio Fazio.
E' un film sul quale, a mio modesto parere di semplice spettatore, non è semplice dare un giudizio, perlomeno un giudizio univoco. Perché è tante cose, forse troppe: un film barocco, eccessivo, bulimico nel voler contenere tutto, contraddittorio; un elogio della bellezza e della gioventù effimera, rappresentata dall'affascinante protagonista (una brava oltre che bella Celeste Della Porta), una condanna feroce dei difetti di Napoli e del Sud (nella dura requisitoria della diva che somiglia a Sofia Loren, ben interpretata da Luisa Ranieri), ma anche una dimostrazione di un grande e struggente amore, un percorso labirintico tra gli anni 50 e oggi seguito da Partheope. Lei fa innammorare tutti gli uomini che incontra, dai ragazzi degli anni giovanili agli uomini del potere economico e politico come Achille Lauro, di quello camorristico nel suo incontro con un boss, di quello religioso del cardinale, di quello accademico dell'anomalo professor Marotta (un nome importante nella cultura napoletana), l'ordinario di antropologia interpretato da Silvio Orlando. Lo fa con la sua bellezza naturale, mai ostentata, ma anche con l'intelligenza, la battuta acuta e sempre pronta, la curiosità per tutto, la sensibilità propria della giovinezza. Una giovinezza che passa rapidamente e porta alle delusioni, alle amarezze e all'accettazione di sé propria della maturità. E' proprio il prof. Marotta a offrire una chiave di lettura nella sua spiegazione dell'antropologia come capacità di vedere: una dote rara e difficile. Vedere e non solo guardare.
E' un film esagerato (e uso l'aggettivo non nell'accezione napoletana di "bellissimo"), in alcuni momenti inutilmente esagerato (come nel caso del rapporto sessuale per suggellare il legame tra due cosche camorristiche o nella vicenda del figlio del professore). Non mancano aspetti onestamente quasi caricaturali come la stessa carriera accademica della protagonista o il suo rapporto con il cardinale.
Meravigliose la qualità della fotografia, la centralità del mare, alcune serie di sequenze da grande maestro del cinema, la colonna sonora, la qualità degli attori, i costumi e le ambientazioni.
Insomma, non mi dispiace affatto di aver visto il film, anzi sono contento e mi sento anche di poterne consigliare la visione (almeno a chi in un film non va solo alla ricerca di una storia coerente ma accetta di farsi accompagnare nelle visioni oniriche del regista).

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