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Povero ministero della Cultura

Una serie di fatti hanno fatto precipitare in questi ultimi due anni, con un’accelerazione negli ultimi mesi, la reputazione di un dicastero centrale nel nostro Paese e nell’immagine dell’Italia nel mondo. Mai si era caduti così in basso

Povero Spadolini! Doveva essere un anniversario importante: il 23 novembre di cinquant’anni fa, nel 1974, nasceva, nel governo Moro IV, il Ministero dei Beni culturali e dell’Ambiente, e Giovanni Spadolini assumeva per primo quella carica prestigiosa del nuovo ministero, che di lì a poco, veniva istituito ufficialmente con il decreto legge 14 dicembre 1974, n. 657 e dotato di portafoglio. Una scelta strategica, a lungo meditata e discussa, che portava ad attribuire autonomia al settore del patrimonio culturale, fino ad allora parte del Ministero dell’Istruzione. Parliamo di personalità come Giovanni Spadolini, segretario del Partito Repubblicano, grande studioso, storico, giornalista, Aldo Moro, giurista, docente universitario, autore, nell’Assemblea Costituente, con Concetto Marchesi, del testo base del famoso articolo 9 della Costituzione.

Da allora il Ministero, che ha cambiato varie denominazioni e struttura organizzativa, ha avuto una trentina di ministri, tra alti e bassi, mediamente per periodi brevi (circa un anno e mezzo) legati alla ridotta durata dei vari governi: grandi personalità politiche e culturali, come Oddo Biasini, anche lui repubblicano, tra il 1980 e il 1981, Alberto Ronchey, indipendente, tra il 1992 e il 1994, autore della riforma che introdusse i cosiddetti “servizi aggiuntivi” nei musei, Domenico Fisichella (Alleanza Nazionale, 1994-95), Antonio Paolucci (1995-96), indipendente, un tecnico di alto profilo, Walter Veltroni (Pds, 1996-98), Giuliano Urbani (Forza Italia, 2001-05), Francesco Rutelli (Margherita poi PD, 2006-08), Massimo Bray (Pd 2013-14) e Dario Franceschini per un lungo periodo (2014-2022), con un’interruzione tra il 2018 e il 2919 con l’insignificante presenza di Alberto Bonisoli (5S). Ci sono state anche personalità meno significative, soprattutto negli anni in cui il Ministero veniva considerato di serie B o C e affidato a politici dei partiti minori delle coalizioni della prima Repubblica, una piccola riserva per soddisfare le proprie clientele. Pochi ricorderanno i nomi di Carlo Vizzini (1987-88), di Vincenza Bono Parrino (1988-89), resa più celebre dalle esilaranti battute di Paolo Guzzanti a proposito della “borzetta” della ministra, o di Ferdinando Facchiano (1989-1991), tutti e tre del fu Partito Socialdemocratico, o di Giancarlo Galan (ministro pochi mesi nel 2011) del Popolo delle Libertà.

Ma mai si era caduti così in basso. La trasmissione Report, domenica 27 ottobre, ha riportato solo alcuni dei fatti che hanno fatto precipitare in questi ultimi due anni, con un’accelerazione negli ultimi mesi, la reputazione di un ministero centrale nel nostro Paese e nell’immagine dell’Italia nel mondo. Un sottosegretario, Vittorio Sgarbi, dimessosi per questioni di conflitto d’interessi tra l’attività ministeriale e quella di conferenziere e organizzatore di mostre (a pagamento) e che ora ha a suo carico una ben più grave questione di ricettazione di un quadro rubato e manomesso. Un ministro, Gennaro Sangiuliano, dimessosi dopo una tragicomica vicenda boccaccesca, con risvolti penosi, che ora denuncia la sua amante e quasi consigliera anche per una grave ferita alla testa. Un capo di gabinetto, Francesco Gilioli, fedele di Sangiuliano, autore della recente riforma del ministero e di un pernicioso decreto sul pagamento delle immagini dei beni culturali e poco altro, costretto da Giuli alle dimissioni per motivi non proprio chiari.

Un altro capo di gabinetto, Francesco Spano, scelto dal subentrato ministro Alessandro Giuli, dimessosi pochi giorni dopo la sua nomina per una questione di conflitto di interessi relativa alla sua carica presso il MAXXI fino a poche settimane fa presieduto dallo stesso Giuli, e soprattutto per il fuoco di fila omofobo di pezzi del partito di maggioranza. Alessandro Giuli, con un passato giovanile in organizzazioni neofasciste ma che ora rivendica posizioni conservatrici-progressiste e una sua indipendenza (alquanto limitata, però, come dimostra il caso Spano), che non perde occasione per sfoggiare un eloquio criptico, infarcito da visioni esoterico-pagane. L’evidente mandato politico loro assegnato consiste evidentemente nell’affermazione di una egemonia culturale di destra nel Paese, quasi che l’egemonia culturale possa essere costruita per decreto: un mandato peraltro interpretato in vario modo, da Sangiuliano occupando tutti i posti possibili con amici, esponenti di partito e amanti, poco importa se squalificati e incompetenti, da Giuli, finora, solo con elucubrazioni varie pseudofilosofiche e pseudointellettuali.

Insomma, le scelte di Giorgia Meloni non riguardano né politici di peso né tecnici competenti, scelti solo per la fedeltà al capo, per di più con un turnover degno della prima Repubblica, pur in presenza di un governo forte e (pare) duraturo. Ciò che emerge è soprattutto una forte ingerenza politica nelle scelte tecniche e culturali. È quanto segnala, ad esempio, la vicenda, raccontata da Report, della mostra sul Futurismo, annunciata al momento del suo insediamento da Sangiuliano come il grande evento culturale del nuovo regime. Curatori scelti più o meno a caso e poi destituiti, comitati scientifici istituiti e poi delegittimati, comitati organizzatori interni al ministero che tagliano pesantemente le scelte dei curatori, costi che intanto lievitano già oltre il milione di euro), interessi privati di galleristi vicini al potere.

Il tutto mentre il Ministero vive un momento di grave incertezza, all’indomani di una inutile riforma organizzativa voluta da Sangiuliano, che lo ha reso ancor più macrocefalo, burocratico e gerarchizzato, ora colpito anche dai tagli imposti dalla nuova Finanziaria. Basti pensare che un Museo importante come il Museo Nazionale Archeologico di Napoli è senza un direttore da mesi, con l’interim dell’onnipresente direttore generale passato con disinvoltura dal sostegno a Franceschini a quello per Sangiuliano. Almeno altri dodici musei e parchi autonomi hanno direttori in scadenza a breve senza una chiara prospettiva. Stessa situazione riguarda molte soprintendenze e direzioni regionali dei musei con dirigenti in scadenza o ad interim. Siamo ormai a quasi un anno dalla fine del Pnrr con centinaia di progetti e fondi enormi stanziati ma in uno stato di confusione e incertezze. Tutti gli specialisti del patrimonio culturale denunciano la mancanza di referenti e di interlocutori al Ministero. Il mondo del Cinema, dello spettacolo e delle attività culturali è in subbuglio. Il personale del Ministero, che rappresenta il vero patrimonio, fatto di alte competenze, specializzazioni, impegno e passioni, è ormai demoralizzato e sfiduciato.

Povero Spadolini! Che triste anniversario! Chi poteva mai immaginare che il ministero che lui definiva “anomalo”, a forte caratterizzazione tecnico-scientifica, finisse in una tale situazione pietosa? Diventando anomalo sì, ma per l’incompetenza, la sciatteria, il dilettantismo e l’arroganza del potere di chi da due anni lo dirige.

Pubblicato in https://www.huffingtonpost.it/blog/2024/10/28/news/povero_ministero_della_cultura-17562466/


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