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Ricordo di Felice

Ho pensato di intervenire in questa occasione che la sua Università ha voluto per ricordare Felice come ricercatore, medico, docente (e ringrazio personalmente la rettrice Antonella Polimeni, che è stata vicina alla famiglia anche nei giorni drammatici del ricovero in terapia intensiva al Gemelli prima e al CTO poi, i presidi di facoltà e il direttore del Dipartimento Alvaro, Della Rocca e Catalano e tutti i colleghi, gli allievi, gli studenti). Lo faccio brevemente, da cognato (anche se i rapporti con Felice e con l’intera famiglia erano e sono talmente stretti che è difficile utilizzare categorie diverse dall’affetto fraterno) e da archeologo. 

Penso infatti sia utile sottolineare un altro aspetto che mi pare peculiare della sua figura: la straordinaria passione di Felice per la cultura umanistica in senso molto ampio, per il patrimonio culturale, la storia, la letteratura.

Felice era un lettore forte, appassionato, onnivoro. Privilegiava di gran lunga la saggistica. Amava inoltre visitare città, monumenti, musei, siti archeologici. Nella nostra lunghissima frequentazione, risalente a quasi 50 anni fa, con lui, la moglie Mariuccia e tutto il gruppo di sorelle, fratelli, cognati, amici, in realtà un’unica grande famiglia meridionale, molto unita non solo da affetto profondo ma anche da una condivisione di passioni e visioni, abbiamo trascorso momenti meravigliosi in campeggi giovanili, in viaggi, in tante visite. Da molti anni avevamo preso l’abitudine di trascorrere tutti insieme gli ultimi giorni dell’anno visitando città e territori italiani meno noti e queste visite si trasformavano in vere e proprie immersioni in luoghi, storie e patrimoni culturali. A me era stato affidato il compito di guida. Ebbene Felice era forse il più esigente, quello che studiava, che aveva letto, che rivolgeva domande di vario tipo alle quali non era sempre facile rispondere. Per fortuna però Felice spesso dopo aver fatto una domanda poi non sempre ascoltava interamente la risposta perché pensava già a un’altra domanda o era preso da un’altra curiosità. È capitato anche che lui venisse a trovarmi nel corso degli anni su miei cantieri di scavo anche in quelle occasioni la curiosità di Felice era debordante.

Ricordo questi episodi di vita vissuta per sottolineare un aspetto non irrilevante, anzi – io penso – peculiare, del modo di essere di Felice: una personalità complessa, dedita completamente alla ricerca scientifica, neuropatologica, eppure incapace di privarsi della linfa della cultura umanistica e dell’attività fisica, della cura della mente e del corpo.

In lui si realizzava pienamente, nella vita quotidiana, una reale integrazione delle due culture cui si riferiva anni fa Charles Percy Snow, secondo una delle migliori tradizioni delle scuole mediche italiane, nella consapevolezza che la lunga vicenda della ricerca medica e della progressiva affermazione del metodo scientifico non possa essere disgiunta dalla conoscenza dei vari aspetti della società, superando confini e barriere disciplinari, integrando le conoscenze mediche con le diverse espressioni della cultura, della letteratura e delle arti. La medicina è la storia degli uomini e delle donne, nei diversi contesti storici, sociali, economici, religiosi, culturali. Credo che Felice incarnasse pienamente questa visione.

Cito un solo esempio: recentemente Felice dopo aver letto un saggio sullo sviluppo della chemioterapia a seguito di una vicenda del 1943, quando aerei tedeschi bombardarono una nave da trasporto americana carica di 2.000 bombe all’ipriteil tristemente celebre gas mostarda, provocando una nube tossica cui furono esposte circa 250.000 persone, 1000 delle quali morirono. Ebbene volle contattare Paolo Mieli per proporgli di parlare nella sua trasmissione televisiva di questa tragica vicenda bellica e dei suoi imprevedibili sviluppi nella ricerca medica grazie alle osservazioni di Stewart Alexander, tenente e cardiologo, esperto di armi chimiche.

Con me e con mia moglie, sua sorella, Titti, ha avuto poi un rapporto particolare anche in quanto colleghi universitari, soprattutto negli anni in cui sono stato rettore, perché mi chiamava spesso per consigli e informazioni accademiche: come mi potranno confermare i suoi colleghi, Felice capiva assai poco di accademia, era talmente preso dalla ricerca che leggi, norme, circolari non erano in cima ai suoi pensieri. In questo mi faceva tenerezza e fui felice di sapere che era diventato addirittura direttore di dipartimento e che faceva bene anche questo mestiere, perché intelligente com’era gli era bastato studiare. Poi con il suo tratto umano non poteva che essere un bravo direttore.

Un ultimo aspetto da sottolineare è  quello dell’attività fisica, che Felice ha sempre coltivato, con lo stesso rigore e la stessa sistematicità che lui riservava agli studi. Non nascondo che provavo/provavamo ammirazione e invidia per la sua capacità di effettuare esercizi fisici tutte le mattine, dovunque lui si trovasse. E poi le sue lunghe passeggiate in bicicletta, altra sua  grande passione. L’ammirazione e l’invidia sono andate crescendo negli anni mentre in noi cresceva la pancetta e si diradava la chioma, nel vederlo sempre in forma, asciutto e atletico, metro implacabile della nostra decadenza fisica!

Questa cura del corpo si esplicava nella sua altra grande passione, l’equitazione, un mondo nel quale, in simbiosi con il più elegante degli animali sinantropici, il cavallo, Felice trovava la sintesi perfetta di cultura e sport. Una persona naturalmente elegante come Felice non poteva che abbracciare una pratica elegante come l’equitazione. 

Come ha opportunamente ricordato suo fratello Domenico nella bella commemorazione funebre tenuta in occasione del funerale celebrato giorni fa a Terlizzi, il nostro comune paese di origine con il quale Felice ha mantenuto sempre un rapporto forte, tanto da chiedere che le sue ceneri siano conservate lì, Felice incarnava perfettamente quell’ideale greco che si esprime con i due celebri aggettivi Kalòs kai agathòs, bello e virtuoso, che ben esprime la sintesi degli ideali atletico, filosofico, cavalleresco, che si traduce, allora come oggi, nella tensione a eccellere tanto nell’attività intellettuale quanto in quella fisica, essendo appieno un componente della propria famiglia, della propria comunità e del proprio tempo. 

Come potremmo meglio tratteggiare i caratteri di Felice, un ricercatore, un docente, un cittadino, proprio qui nella Sapienza?

Letto in occasione della commemorazione alla Sapienza Università di Roma, 21.2.2023
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