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Tutte le scelte di Gennaro Sangiuliano

A quasi quattro mesi dal suo insediamento è forse il caso di cominciare a valutare le idee, i progetti e le prime iniziative del nuovo ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, per quanto è dato finora capire. Finora in molti, compreso chi scrive, hanno atteso, laicamente e senza pregiudizi, le prime mosse. Questi primi quattro mesi sono infatti stati dominati più da un profluvio di dichiarazioni, sulle questioni più disparate, e spesso contraddittorie (basti pensare anche solo alle posizioni sui biglietti dei musei del ministro – «aumentiamo il costo!» – e del sottosegretario Sgarbi – «i musei devono essere gratuiti!»).

Non pochi sono anche i ritardi nella costruzione della squadra (addirittura il posto di vertice, quello di segretario generale, è ancora un incarico temporaneo), a dimostrazione che si era tutt’altro che pronti a governare, almeno nel campo della cultura. Emerge chiaramente, infatti, una certa difficoltà a individuare persone davvero qualificate e competenti, soprattutto in considerazione delle scelte fatte più nel rispetto di un’appartenenza alla destra (in particolare all’area di Fratelli d’Italia) che in ossequio a documentate competenze tecnico-scientifiche.

Sembra anche evidente che Sangiuliano sia più interessato al mondo dello spettacolo e delle attività culturali che ai temi della tutela e della valorizzazione del patrimonio culturale. Non a caso tra le prime sue dichiarazioni si annunciavano mostre sul futurismo (ce ne sono state varie non molto tempo fa, l’ultima a Padova nel 2022) e (sai che novità!) sul Rinascimento. Tra le prime sue nomine come consiglieri, il maestro Beatrice Venezi per la musica e il giornalista, nonché presidente della Fondazione Tatarella e del movimento Nazione Futura, Francesco Giubilei per la promozione della cultura tra i giovani. Del resto, il ministro ha più volte lasciato intendere che il suo obiettivo prioritario consiste nel voler abbattere «l’egemonia della sinistra nel campo della cultura». Obiettivo politicamente legittimo, a patto che si intenda il ministero più come uno strumento di propaganda che come il garante di un’azione di tutela e valorizzazione dell’enorme, complesso, articolato patrimonio culturale e paesaggistico. In questo campo, al di là delle immancabili visite a Pompei e le solite celebrazioni mediatiche delle immancabili sensazionalistiche scoperte archeologiche, nulla o quasi era dato di sapere. Finora almeno.

Da poco è, infatti, stato reso noto l’Atto di indirizzo del ministro, quel documento cioè che indica le priorità politiche. Ebbene, i contenuti sono davvero preoccupanti. Oltre ad alcuni generici obbiettivi, come, solo a titolo di esempio, il rafforzamento del «tratto identitario delle città italiane, potenziando la partecipazione ai comitati costituiti per la celebrazione dei centenari e degli anniversari di figure storiche importanti per la cultura nazionale». Fin qui nulla di male. Nel campo specifico dei beni culturali buona parte del documento è ispirato all’obiettivo, quasi ossessivo, di “far cassa”, a ogni costo e in ogni modo, per rispondere all’annunciata riduzione dell’impegno pubblico. Pertanto, si prevede «l’accrescimento della capacità degli istituti e luoghi della cultura di autofinanziarsi, così come il reperimento di fonti finanziarie alternative rispetto al finanziamento pubblico» e si annuncia di voler ridurre «i casi di concessione a titolo gratuito degli spazi e delle immagini relative ai beni culturali e garantire un’adeguata remuneratività degli stessi, anche mediante la definizione di un tariffario unico ministeriale avente ad oggetto ogni forma di concessione a terzi dell’uso individuale dei beni culturali».

In riferimento al libero uso delle immagini dei beni culturali, da anni auspicato non solo per finalità di studio e ricerca ma anche per favorire l’iniziativa delle imprese culturali e creative e anche quelle del turismo culturale e del made in Italy, l’ossessione a far cassa raggiunge livelli esasperati, tanto da far prevedere di «centralizzare l’attività di concessione delle immagini» e di «ridurre al minimo i casi di concessione a titolo gratuito di beni culturali, mobili o immobili, anche in occasione di mostre o esposizione, in Italia o all’estero». Attenti studiosi, ricercatori, giovani laureandi e dottorandi: da ora in poi toccherà pagare anche per ogni immagine pubblicata negli studi! Per non parlare dei risvolti in campo imprenditoriale. Le uniche a pagarne le conseguenze saranno, infatti, le imprese italiane, per esempio quelle del turismo, interessate a legare la loro attività al patrimonio culturale italiano. Dubito, infatti, che il MiC voglia e possa avviare contenziosi con operatori statunitensi o cinesi che promuovono il turismo in Italia usando anche immagini di monumenti e opere d’arte.

E anche chi vorrà organizzare una mostra dovrà prevedere budget maggiori per ottenere opere da esporre. È facile previsione che le istituzioni straniere, costrette a pagare somme salate per avere in prestito opere dai musei statali italiani, riservino a noi lo stesso trattamento. Sarà interessante valutare il risultato finale anche in termini economici, oltre che di scambi culturali. Si annuncia poi anche una «revisione del costo pagato dai visitatori per l’ingresso negli istituti e nei luoghi della cultura»: detto in soldoni un aumento del costo dei biglietti.

Sia ben chiaro. Chi scrive è convinto dello straordinario valore anche economico del patrimonio culturale e delle sue enormi potenzialità, finora ancora poco espresse, per la creazione di nuova occupazione qualificata e di innovative forme di economia e di sviluppo a base culturale. Ma qui siamo a una logica da bottegai, non certo a una strategia di economia della cultura.

Un nuovo dato illuminante per capire le strategie del ministro Sangiuliano è offerto ora dalle nomine da lui appena fatte per il Consiglio superiore dei beni culturali e paesaggistici, cioè «l’organo consultivo del Ministero a carattere tecnico-scientifico in materia di beni culturali e paesaggistici» come recita la legge istitutiva. Un organo del quale hanno fatto parte illustri archeologi, storici dell’arte, architetti, demoetnoantropologi, esperti di archivi e biblioteche, di economia della cultura, di museologia. Si tratta di Gherardo Marenghi, avvocato cassazionista, assessore in quota Fratelli d’Italia del comune di Pagani, Salvatore Sfrecola, già viceprocuratore generale della Corte dei conti, Simonetta Bartolini, docente di letteratura italiana nell’Università di studi internazionali di Roma, un ateneo privato (Libero Istituto Universitario "San Pio V"), Angiola Filipponio Tatarella, già ordinaria di Filosofia del diritto nell’Università di Bari e vedova del celebre padre della moderna destra italiana Pinuccio Tatarella, a suo tempo mentore dell’attuale ministro, e, infine, con il ruolo di presidente, Gerardo Villanacci, ordinario di diritto privato all’Università politecnica delle Marche. Insomma, solo giuristi e una italianista, certamente personalità di rilievo nei propri ambiti scientifici o professionali, ma di cui si fa un po’ fatica a cogliere un rapporto diretto con l’attività di studio, tutela, valorizzazione e gestione dei beni culturali e paesaggistici.

Si può obiettare che del Consiglio superiore facciano parte anche i tre consiglieri designati da regioni, Province e Comuni e in particolare gli otto presidenti dei comitati tecnico-scientifici dei vari settori in cui si articola il patrimonio culturale (archeologia, arte, paesaggio, musei, ecc.), tra cui compaiono ottimi specialisti designati dal precedente ministro e dal Consiglio Universitario Nazionale o eletti dal personale del ministero, ma le nomine appena fatte dal ministro Sangiuliano indicano chiaramente in quale direzione intende muoversi.

Pubblicato in https://www.huffingtonpost.it/blog/2023/02/16/news/scelte_ministro_della_cultura_gennaro_sangiuliano-11361990/
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