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La valutazione la facciano gli studiosi, i visitatori e i cittadini. Non il Tar!

A poche ore dalla scioccante sentenza del Tar Lazio, Eva Degli Innocenti, direttrice del MArTa il Museo Archeologico di Taranto, ha inaugurato ieri una mostra sulla via Appiacon Paolo Rumiz. Due giorni fa, ignaro della sentenza che da oggi gli impedisce di dirigere il MANN, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Paolo Giulierini presentava a Roma con il ministro Franceschini la grande mostra sui Longobardi che dal prossimo autunno si snoderà tra Pavia, Napoli e San Pietroburgo.

Sono solo due dei cinque direttori di musei che improvvisamente si trovano impossibilitati ad operare: non possono più firmare un documento, approvare una spesa, autorizzare un prestito o lo studio di un pezzo delle proprie collezioni, presiedere il consiglio di amministrazione. E devono anche trovarsi un bravo avvocato. Attendendo fiduciosi, loro e noi tutti, un rapido intervento (si pensa nel giro di 15-20 giorni) del Consiglio di Stato che risolva questa insensata vicenda. Se siamo ancora in uno Stato di Diritto, nel quale, come ha ricordato Sabino Cassese, che qualche conoscenza di diritto amministrativo ha, dal 1957 è garantita la libera circolazione dei lavoratori europei. L'art. 38 della legge del 2001, tanto richiamato in queste ore, si riferisce a ruoli dirigenziali in ambiti particolari, dove è in gioco l'interesse nazionale (per intenderci non si dovrebbe mettere uno straniero a dirigere i servizi segreti!). I direttori dei musei, anche se di ruolo direttivo, hanno ampia autonomia ma devono dare conto al Direttore Generale Musei, al Segretario Generale e al Ministro. Portata alle estreme conseguenze la posizione del Tar, non dovrebbe essere possibile nemmeno nominare professore ordinario universitario uno straniero.

Come viene selezionato il direttore di un grande museo straniero, come il Louvre o il British Museum, cioè uno di quei musei di solito presi a modello? Con una selezione internazionale, fatta da una commissione che dopo aver valutato i candidati tramite curriculum e averli intervistati, propone al Consiglio di Amministrazione o all'Ente, cui il Museo afferisce, una rosa e tale organismo sceglie e affida l'incarico, normalmente a termine, che si conclude con una valutazione finale dell'attività svolta e soprattutto dei risultati raggiunti. Se è positiva il Direttore viene riconfermato, altrimenti torna a casa.

Come sono stati selezionati Eva Degli Innocenti per il MArTa, Gabriel Zuchtriegel per Paestum, Paolo Giulierini per il MANN, Carmelo Malacrino per il museo di Reggio Calabria, cioè alcuni dei musei su cui si è abbattuta la sentenza del Tar Lazio? Praticamente con queste stesse procedure: una commissione internazionale, costituita da vari specialisti, ha valutato i titoli e i curricula, ha selezionato prima una rosa di 10 candidati ammessi al colloquio e poi ha proposto una terna al Ministro Dario Franceschini o al Direttore Generale Musei Ugo Soragni, per la scelta dei direttori, rispettivamente, di prima o di seconda fascia.

Come venivano invece selezionati i direttori dei musei prima della riforma del 2014? Con nessuno di questi sistemi, semplicemente perché i musei non esistevano come soggetti autonomi, erano uffici delle Soprintendenze: pertanto il Soprintendente poteva egli stesso assumere la direzione di un museo o autonomamente ne affidava la direzione a uno dei suoi funzionari, rimanendo in carica per un anno, dieci, a vita o per pochi mesi. Peraltro, privo di autonomia scientifica e gestionale e spesso occupandosi del museo tra mille altre pesanti incombenze della tutela di un territorio. Alcuni tra questi funzionari hanno fatto un ottimo lavoro, in condizioni difficilissime e questo va loro riconosciuto. Ma era quello un sistema che non funzionava e al quale speriamo non si debba tornare.

Chiariamo un'altra questione vista la confusione del momento. I ricorsi al Tar sono due: uno riguarda i direttori di Palazzo Ducale di Mantova e della Galleria Estense di Modena e tocca anche la complessa questione della partecipazione degli stranieri ai concorsi nella pubblica amministrazione, l'altro è stato rivolto contro i direttori archeologi dei musei di Taranto, Napoli e Reggio Calabria e il parco di Paestum ed è relativo alla procedura seguita dalla Commissione. Non entro nel merito ovviamente e aspetto, come tutti, fiducioso la sentenza del Consiglio di Stato che speriamo ponga presto fine a questa bizzarra vicenda, soprattutto per la provinciale discriminazione verso altri cittadini europei. Faccio solo notare che uno dei due ricorrenti (valutato dalla stessa Commissione nella seconda procedura) è risultato vincitore, e attualmente dirige meritatamente un importante parco archeologico. Se la procedura fosse stata scorretta, come afferma il ricorrente, lo sarebbe anche quella che un anno dopo lo ha dichiarato vincitore? Ma soprattutto la domanda è: la valutazione deve essere basata sulla qualità e sul merito e affidata ad una commissione internazionale di specialisti, come avviene in tutto il mondo, o deve essere condotta con i formalismi da azzeccagarbugli?

C'è immediatamente il rischio della paralisi, al quale sta ponendo rapidamente rimedio il MiBACT, nominando dei supplenti, per evitare che quattro musei e il parco archeologico di Paestum, all'inizio della stagione estiva che normalmente richiama un maggior numero di visitatori, si blocchino. Alla pessima figura internazionale che l'Italia sta facendo in queste ore (sono decine le telefonate e i messaggi ricevuti da colleghi italiani e stranieri esterrefatti, in particolare per questo incomprensibile pregiudizio verso altri cittadini europei!) si aggiungerebbe un enorme danno. Questo non perché si sia valutato negativamente l'operato dei nuovi direttori ma sulla base di cavilli formali astrusi, in un paese burocratizzato, incapace di produrre vero cambiamento (o meglio in grado di bloccare chi le riforme cerca realmente di realizzare), che non bada alla qualità, al merito, alla sostanza, ma solo e sempre più ai formalismi.

In queste ore i conservatori ostili alle riforme dei beni culturali stanno festeggiando, sperando di bloccare con un cavillo quella che non esito a definire una vera e propria rivoluzione, non priva certamente di problemi e anche di errori, come sempre accade nei grandi cambiamenti, ma che guarda più lontano, con una visione innovativa di museo e di patrimonio culturale. In questi ultimi anni i musei italiani hanno conosciuto una vera rivoluzione, per la prima volta adeguandosi agli standard internazionali: direttori dotati di autonomia gestionale e scientifica, consigli di amministrazione e comitati scientifici, bilanci autonomi, risorse gestite direttamente e reinvestite per dare migliori servizi e anche per sostenere i musei "minori".

Una rivoluzione, ancora in corso, che cerca di trasformarli da luoghi poco ospitali, esclusivi, respingenti, privi di servizi essenziali (non a caso ancora oggi definiti "aggiuntivi") e di supporti didattici adeguati, legati all'uso di un intollerabile e misterioso linguaggio iper-tecnicista, che provoca spesso nel visitatore un senso di inadeguatezza e di spaesamento, in luoghi aperti, accoglienti, inclusivi, piacevoli. "Studio, educazione e diletto" sono le finalità indicate dalla legge sui musei datata 2014 (prima l'Italia ne era sprovvista!), esattamente secondo i precetti dell'ICOM, l'International Council of Museums. Ci sono ancora molti problemi aperti, tante cose che non vanno e varie questioni da risolvere: ma i progressi sono sotto gli occhi di tutti. Sono sempre più strutture aperte alla città e ai cittadini, come si può facilmente verificare a Taranto, a Napoli, a Reggio Calabria e in ogni altra città. Sarebbe un danno per il paese se il processo si bloccasse, come alcuni sperano, immaginando che il prossimo ministro debba smontare pezzo per pezzo la riforma Franceschini. Con il solito vizio italico di distruggere quanto fatto dal predecessore e ricominciare sempre daccapo.

Queste semmai sono le parole chiave anche per il futuro di questa rivoluzione: 1) autonomia piena, anche nella gestione e nello stesso reclutamento del personale; 2) piena responsabilità nelle scelte effettuate; 3) un rigoroso sistema di valutazione che consideri non solo l'incremento del numero dei visitatori, ma soprattutto la qualità dei servizi, la comunicazione, le collaborazioni con università e istituti di ricerca italiani e stranieri, la promozione della ricerca, l'accessibilità ai dati, gli accordi con associazioni, scuole, fondazioni, il radicamento e la partecipazione attiva dei cittadini, la promozione dello sviluppo locale. Ecco per cosa dovrebbero essere valutati i direttori dei musei: dai visitatori, dagli studiosi, dai cittadini. E non certo da un Tar!

http://www.huffingtonpost.it/giuliano-volpe/la-valutazione-la-facciano-gli-studiosi-i-visitatori-e-i-cittad_a_22110493/?utm_hp_ref=it-homepage
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