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A tavola con la cultura

“Con la cultura non si mangia”. Si è parecchio abusato di quest’espressione (che un po’ riecheggia l’oraziano Carmina non dant panem), attribuita anni fa all’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che ha poi precisato di non averla mai usata. Anche il recente libro del ministro Dario Franceschini, quasi un bilancio della sua azione, tutta ispirata a fare della cultura un asse di sviluppo anche economico, ha usato nel titolo quella frase, ovviamente con un significativo punto interrogativo. Da problema a occasione di sviluppo. Chi scrive è convinto che il patrimonio culturale, in primis quello archeologico, possa offrire un contributo importante alla creazione di opportunità di lavoro di qualità e di economia sana, pulita, sostenibile, nel campo del turismo ma non solo. Senza retorica e senza soluzioni miracolistiche. Partendo da una considerazione: la tutela del patrimonio archeologico è ancora oggi sentita in larghi settori come un impedimento allo sviluppo economico, per gli ostacoli, i ritardi, i mille problemi che pone in occasione di lavori edili o agricoli, di costruzione di infrastrutture, di trasformazioni del territorio, a volte – bisogna ammetterlo – anche per improprie ‘esagerazioni’, non giustificate dalla legittima e necessaria azione di conoscenza e tutela del patrimonio. Bisognerebbe innanzitutto ribaltare questa immagine, modificando la percezione diffusa del patrimonio, da ‘problema’ a grande ‘risorsa’ per il Paese e per il suo sviluppo. Ed è necessario, altresì, superare, nella stessa comunità degli specialisti l’idea di una contrapposizione tra ‘economia’ e ‘cultura’, ancora oggi dominante in alcuni ambienti. Rinascita di un grande monastero abbandonato. I casi che dimostrano che “con cultura si mangia” sarebbero tantissimi. Quello più celebre è forse il caso del Rione Sanità e della cooperativa La Paranza, ora celebrato anche dal cinema con il bel film di Mario Martone “Nostalgia”. Mi limito a indicarne un altro, meno noto, in un’altra grande città meridionale. Siamo a Palermo, nel cuore della città: qui la cooperativa Pulcherrima Res ha preso in gestione il grande e importante monastero di clausura di Santa Caterina di Alessandria, secoli fa popolato da centinaia di suore. Era considerato uno dei monasteri principali di Palermo, con suore provenienti da nobili famiglie. Fondato nel Medioevo, nel 1532 con il crescente numero di suore si ampliò acquistando la chiesa di San Matteo, finché nel XVII secolo il monastero finì per occupare un intero isolato. Più recentemente, la crisi progressiva, i danni per i moti del 1848 e del 1860, i bombardamenti del 1943. Le ultime religiose, ridottesi solo a tre, hanno lasciato il monastero nel 2014. Dopo il loro trasferimento, il monastero e la splendida chiesa barocca, di proprietà del FEC (Fondo edifici di culto) del Ministero degli Interni e gestito dall'ufficio dei beni culturali dell'Arcidiocesi di Palermo, erano rimasti chiusi e praticamente inaccessibili, finché nel 2017 grazie all’iniziativa lungimirante di padre Giuseppe Bucaro, in collaborazione con la Soprintendenza, il complesso è stato affidato alla cooperativa, che organizza visite guidate e molte altre iniziative. Riscoperta di antiche produzioni. Oggi a Santa Caterina sono ora impegnate, in vario modo (assunti, collaboratori occasionali, servizio civile, volontari), non meno di 120 persone. Una storia di successo. Eppure esperienze di questo tipo sono sempre a rischio, come dimostrano i recenti tentativi, per fortuna sventati, di sottrarre parti del Monastero da destinare ad altre finalità. Ma non è tutto. Grazie alla riscoperta delle antiche ricette segrete dei dolci delle suore di clausura si è data vita alla pasticceria "I segreti del chiostro". La spezieria o dolceria di Santa Caterina era il luogo del Monastero preposto alla realizzazione di biscotti, pasticciotti ripieni, frittelle, conserve ecc. La vendita di dolci rappresentava una fonte di reddito importante per la sopravvivenza del Monastero. Oggi quella tradizione è rinata e si producono dolci di grande qualità (anche estetica), molto apprezzati. Con i proventi della gestione del monumento e della pasticceria non solo si manutiene il monumento e si dà lavoro, ma si sostiene anche una mensa per i bisognosi che fornisce 360 pasti al giorno. Tutela e cura del patrimonio culturale si sposano con la rivitalizzazione di una porzione del centro storico, con la creazione di occupazione, con il turismo culturale e anche con l’impegno sociale. Un circolo virtuoso di ‘cultura e sociale’ che attribuisce un valore aggiunto a queste forme di gestione. Andate ora a chiedere a chi riceve un pasto caldo ogni giorno se con la cultura non si mangia!
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