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La Scuola e l'Università pubbliche unici ascensori sociali

«Io credo di essere rappresentativo di quegli strati profondi delle masse popolari più umili e più povere che aspirano alla cultura, che si sforzano di studiare e cercano di raggiungere quel grado di sapere che permetta loro non solo di assicurare la propria elevazione come persone singole, di sviluppare la propria personalità, ma di conquistarsi quella condizione che conferisce alle masse più popolari un senso più elevato della propria funzione sociale, della propria dignità nazionale e umana» (Giuseppe Di Vittorio, Congresso della Cultura popolare, Bologna 1953).

«E’ stato grazie ad esempi del genere [di E. Mattei e N. Mandela] che ho capito quanto servano a poco le idee senza la forza di un gesto che le trasformi. Ma questo sarebbe successo anni dopo: al liceo ero solo una spugna che incamerava più informazioni possibili. Ero affamato di tutto, e affascinato, in eguale misura, sia dalle rivoluzioni degli altri che dalle regole ferree della fisica e della matematica … L’incontro con un professore che non avrei mai dimenticato, all’ultimo anno del liceo, mi fece capire che c’era molto di più oltre alle semplici regole» (Yvan Sagnet, Ama il tuo sogno, 2012).

Parto da queste due citazioni diverse eppure così simili, di due persone distanti nel tempo eppure così vicine nelle stesse lotte a difesa degli ultimi, contro lo sfruttamento e per i diritti, per sottolineare come solo la scuola, la formazione, la cultura possano garantire la libertà, la dignità, la prospettiva per una crescita individuale e collettiva.

Di Vittorio dovette lottare contro l’analfabetismo che lo condannava, come tutti i braccianti, ad uno stato di subalternità culturale prima ancora che materiale, ebbe la fortuna di incontrare maestri che gli insegnarono i rudimenti e poi studiò per tutta la vita diventando uno dei leader più importanti del sindacato italiano e mondiale. Sagnet ha studiato in Camerun e poi ha deciso di venire a studiare ingegneria in Italia, per amore del nostro paese, con il sogno di tornare nel suo paese e contribuire alla sua crescita. Poi ha conosciuto lo sfruttamento nelle campagne pugliesi e ha organizzato per la prima volta uno sciopero dei lavoratori migranti, ha creato coesione tra culture, etnie, lingue diverse: lo ha fatto grazie alla sua formazione culturale, scolastica, universitaria.

Le battaglie per la scuola e l’università pubbliche in Italia, per il diritto allo studio, per l’elevazione dell’obbligo scolastico (che vorremmo portare a 18 anni per tutti), per l’applicazione piena della Costituzione, sono state battaglie di civiltà, negli ultimi anni messe fortemente in discussione, quasi dimenticate. Il diritto alla formazione è nuovamente a rischio. Si riaffermano idee che pensavamo ormai confinate in soffitta: percorsi differenziati a seconda del censo, sostegno a scuole e università di élite riservate ai più ricchi, nuovi cospicui finanziamenti a scuole e università private, taglio indiscriminato dei fondi alle strutture pubbliche.

Ma, soprattutto, in questi anni abbiamo assistito alla delegittimazione della scuola, alla perdita di ogni dignità degli insegnanti, dei docenti, cioè delle figure più importanti, più preziose in una società, quelle alle quali affidiamo le persone cui teniamo di più, i nostri figli. Non molto tempo fa essere professore di liceo conferiva un’immagine di rispetto sociale. Oggi coincide con la realtà di precario, di mestiere malpagato e bistrattato dallo stato, dalle famiglie, dalla società. Professori che a 50 anni sono ancora precari, costretti a girandole tra le scuole a tutto danno della continuità didattica, privi di strumenti, spesso – dobbiamo ammetterlo - anche poco preparati per colpa di percorsi formativi non adeguati. Abbiamo avuto recentemente ministri incompetenti (Gelmini), che hanno tentato di distruggere non solo l’università ma anche una delle realtà formative più apprezzate al mondo, la scuola elementare, o ministri tecnocratici (Profumo), che pensano che la soluzione sia solo nel dotare gli studenti di Ipad (ovviamente benvenuti, come ogni miglioramento tecnologico) e nell’eliminazione dei libri cartacei, senza attenzione ai contenuti: un iPad o un computer pieno di stupidaggini è inutile, anzi dannoso!

Sarebbe, invece, necessaria una vera ‘rivoluzione’ copernicana, per riportare la scuola, la formazione, la cultura, al centro delle priorità del paese, non solo con investimenti adeguati, per rinnovare edifici scolastici cadenti, per dotare le scuole di laboratori, di strumentazioni, di biblioteche, di opportunità di scambi internazionali, ecc., ma soprattutto liberando la scuola da impostazioni iper-burocratiche e pseudo-aziendaliste, qualificando la classe docente anche attraverso percorsi di aggiornamento continuo, aprendo le scuole a molteplici esperienze, alle differenze culturali, allo stesso mondo del lavoro con stages e tirocini di qualità, legando maggiormente la scuola all’università con reali percorsi di orientamento.

La scuola e l’Università devono tornare ad essere il vero ascensore sociale, anzi devono accrescere fortemente questo ruolo. Tengo molto a tale aspetto, anche per esperienza personale. Non ho mai fatto mistero di provenire da una famiglia modesta, con genitori che avevano come titoli di studio la terza elementare (mia madre) e la terza ‘avviamento’ (mio padre), con cinque figli (ed io sono l’unico laureato); una casa senza un libro, tranne qualche Topolino e qualche fascicolo del ‘Reader’s digest’ (che molti lettori più giovani non conosceranno!). Ho avuto la fortuna di incontrare docenti bravissimi, impegnati, appassionati, che mi hanno insegnato non solo la letteratura, la storia, il latino e il greco, le scienze, ma anche e soprattutto a pensare, a sforzarmi di interpretare la realtà, a leggere libri, ad aprire gli orizzonti mentali. Poi ho avuto la fortuna di ottenere il ‘presalario’ all’Università di Bari, di non pagare le tasse per merito e reddito, di scoprire il mondo dello studio, della ricerca, di frequentare altre università italiane e straniere con borse di studio, e poi di vincere concorsi da ricercatore, da professore associato, da professore ordinario, senza avere genitori potenti e senza avere legami familiari con professori universitari. Addirittura diventare Rettore di una Università. Ebbene, io vorrei che queste e ancora altre opportunità possano essere garantite a tutti, senza distinzioni di censo, di famiglia, di clientela, ai tanti giovani capaci, impegnati, appassionati dello studio, della cultura, desiderosi di crescita personale e professionale. Ecco perché sono fortemente schierato contro la distruzione della Scuola e dell’Università pubbliche, contro le privatizzazioni del sapere, contro il ritorno ad una società delle élites.

La Scuola e l’Università possono e devono, in particolare, contribuire a migliorare il Paese, la nostra società rincitrullita da vent’anni di televisione commerciale, di disvalori, di illusioni sul facile successo privo di fatica e capacità, di involgarimento generalizzato, valorizzando il merito in condizioni di pari opportunità, e contribuendo soprattutto al Sud a costruire un argine contro il vero e proprio tsunami demografico che nel giro di alcuni decenni rischia di svuotare il Mezzogiorno d’Italia delle migliori risorse, cioè dei giovani.

Giuliano Volpe
(articolo pubblicato su L'Attacco, 31.1.2013, pp. 1, 22) 


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