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Quello che ho visto in campagna elettorale

Sono queste le ultime ore di una strana campagna elettorale, la prima condotta in pieno inverno. Ma non solo per questo motivo assai fredda. Una campagna elettorale tutta giocata in Tv, soprattutto a livello nazionale, tra i grandi leader, con discussioni assai povere di contenuti, tutte fondate su accuse reciproche, su promesse tanto esagerate quanto inapplicabili (se solo si avesse un minimo di pudore e di memoria), su presunte alleanze nascoste, su patti possibili, su accordi futuribili, dati per certi, smentiti, sussurrati. Accanto alle promesse si rinnegano scelte compiute solo pochi mesi fa, si prendono in giro i cittadini, si specula sulle difficoltà ed anche sulla disperazione. Tutto questo mentre si registra un sempre più pericoloso allontanamento di ampi settori della popolazione, una sempre più ampia delusione e una sempre maggiore disaffezione. Chi abbia un po’ di memoria storica e di conoscenza dei fatti del Novecento sa bene che già altri momenti, tra le due guerre, caratterizzati da una forte recessione economica, da straordinari tassi di disoccupazione e di povertà, da estrema polarizzazione sociale, da grande degrado morale, hanno conosciuto analoghe situazioni di estremismi populisti, demagogici e demolitori. Anche in quelle occasioni personaggi un po’ folkloristici e inizialmente sottovalutati dal mondo politico e culturale raccolsero enormi consensi proponendo la distruzione del sistema: sulle macerie sono poi nati regimi totalitari e sono esplose guerre. Alcune spie presenti in Europa ed anche nel nostro Paese, con tutte le ovvie differenze legate ai diversi contesti storici, troppo spesso ignorate o addirittura assecondate benevolmente, dovrebbero far riflettere.

Tornando alla campagna elettorale che sta per concludersi, propongo ai lettori qualche prima riflessione ed anche un breve bilancio di questa esperienza.

Ho cercato di fare una campagna elettorale vera, un po’ vecchio stile. Ho messo insieme un gruppo di persone, prevalentemente giovani, molti delle quali prive di precedenti esperienze politiche, ho allestito una sede – non il solito comitato elettorale - nella quale organizzare riunioni, incontri, iniziative varie. Ho soprattutto voluto girare il territorio, in particolare quello di Capitanata, ma anche altre zone della Puglia, oltre ad alcune puntate romane per iniziative nazionali. Il poco tempo a disposizione non mi ha consentito di essere dappertutto, come avrei voluto, anche perché gli incontri nei nostri paesi si possono svolgere quasi solo di sera, nell’arco di poche ore. Ho girato con la mia auto, percorrendo alcune migliaia di chilometri in pochi giorni, senza autisti, al massimo accompagnato da un amico o da Giuseppe Beccia, giovane e capace candidato alla Camera, con il quale ho tenuto numerosi interventi. Ho voluto parlare di problemi veri, di temi sui quali ho competenza specifica (scuola, università, ricerca, cultura, beni culturali e paesaggistici) e per i quali intendo battermi, ho voluto assumere solo impegni che ritengo di poter tentare di mantenere. L’ho fatto con pochi mezzi, con l’impegno personale e il sostegno di alcuni amici e colleghi, con il lavoro dei nostri volontari.

Sotto questo profilo è stata una bella esperienza, faticosa fisicamente e psicologicamente, ma bella ed entusiasmante, anche se non priva di preoccupazione per il venir meno di spazi reali di confronto e di partecipazione. Spesso mi è capitato di parlare anche a piccoli gruppi di persone, ma non per questo il confronto è stato meno prezioso. Parlare di formazione e di cultura in vari centri dei Monti dauni e del Gargano, alcuni anche assai piccoli (da Troia a Bovino, da Orsara a Castelluccio dei Sauri, da Ascoli Satriano a San Giovanni Rotondo), in città grandi e piccole (da Bari a Lecce, da Cerignola a Lucera, da Barletta ad Andria, da Bisceglie a Corato, Trani, Martina Franca, da Ordona a Minervino, da Gravina a Toritto e Bitetto), in sedi di partito o di associazioni (come a Bitonto, a Barletta, a Vieste, a San Ferdinando e a Terlizzi), o in sale affollate, trovando sempre grande e sincero interesse, è stato per più versi salutare: vuol dire che ci sono ancora ampi margini per riavviare forme di partecipazione e di confronto democratico, ci sono ancora autentiche spinte dal basso che attendono solo di essere comprese e sostenute.

Ho trovato situazioni variegate sia con segnali positivi sia con elementi di preoccupazione. Ho incontrato sia giovani brillanti e motivati, come Ilaria ad Orsara, studentessa nella nostra Università, o associazioni molto attive e impegnate sul fronte culturale e sociale ma prive di affidabili sponde politiche, piccoli gruppi di cittadini privi di riferimenti, energie fresche e qualificate, ma anche tanta disperazione, tanta sfiducia, oltre a persone del tutto inadeguate, a personaggi discutibili, a mediocri capetti privi di qualsiasi seguito. Il mio giudizio complessivo è positivo: c’è tanto da fare, ma sono disponibili nel territorio daunio anche tante energie e capacità, tante realtà associazionistiche e imprenditoriali positive, tanti giovani ancora con la voglia di impegnarsi.

Come ho già detto, ci sono anche elementi di preoccupazione. Già da candidato sono stato raggiunto da richieste di favori, di aiuti, di posti di lavoro. La tragica difficoltà del momento rende alcune di queste richieste comprensibili – ne sono umanamente e politicamente consapevole -, ma emerge anche una concezione della politica come favore e clientela, del candidato o del parlamentare come riferimento per la soluzione di problemi personali o di specifiche categorie. È una concezione che è diventata così tanto diffusa e pervasiva nella società italiana, e – dobbiamo ammetterlo - meridionale in particolare (perché, come mi sento ripetere, ‘così si fa da anni’, ‘così fanno gli altri’), che diventa arduo rispondere di no, far capire che non sono disposto a fare favori, non per insensibilità ma per scelta etica e politica, precisare che il mio impegno sarà per la difesa di interessi generali, anche per la Capitanata, per sostenere l’agricoltura di qualità, per la valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico, per il turismo, per la difesa e la crescita dell’università, della ricerca e dell’innovazione. Che la creazione di opportunità di lavoro qualificato per i giovani è una priorità assoluta che va affrontata, non per singoli casi, ma con un piano straordinario che eviti di perdere le straordinarie risorse senza le quali il Sud è destinato alla crisi e al declino.

Volere un Sud fiero delle proprie capacità e non subalterno, protagonista e non accattone, desideroso di un cambiamento vero, che non si accontenti di di mance, di veleni e di lusinghe mafiose, significa anche questo: affermare una diversa idea della politica e del politico, contribuire a portare in Parlamento e al Governo una rappresentanza di qualità, di serietà, di competenza, di onestà, di impegno per la difesa degli interessi generali dei cittadini, soprattutto dei più deboli.

Ci sono stati anche momenti di grande emozione, nell’incontro di amici che non vedevo da anni, nell’affetto che mi ha circondato nella bella iniziativa organizzata nel mio paese natale, Terlizzi, nelle strette di mano e nelle parole di apprezzamento di tante persone, anche molto anziane, al termine dei miei interventi.

Tra tutte, mi ha colpito l’incontro a Bitonto di un mio professore del liceo classico, Nicola Pice, un professore che ha segnato la mia vita, con il suo insegnamento e con il suo modello di rigore etico, di impegno civile, di amore per lo studio. In ogni mio intervento pubblico in questa campagna elettorale , ho sempre sottolineato il ruolo indispensabile della scuola pubblica di qualità come ascensore sociale e ho sempre ricordato la funzione fondamentale che hanno avuto alcuni miei docenti nell’aiutarmi a crescere, ad imparare a comprendere la realtà, a sviluppare la capacità critica, a costruire un progetto di vita; e ogni volta, insieme ad altri bravi professori, il mio pensiero andava in particolare a Nicola Pice. Nell’incontro bitontino, al termine dei miei interventi e del dibattito, il mio professore di liceo ha chiesto di intervenire, ricordando un episodio di 38 anni fa, quando io ero suo studente al terzo liceo classico a Terlizzi e lui era un giovanissimo docente di prima nomina. Ha ricordato di avermi consigliato la lettura di alcuni libri di storia, per la preparazione di una tesina sulla democrazia degli antichi, che lui aveva conservato come una reliquia e che aveva portato con sé. Ha voluto leggere la conclusione di quel mio testo dattiloscritto, con una copertina rossa ormai sbiadita, che, lo confesso, avevo quasi dimenticato, e che ha voluto regalarmi. 
Riporto la parte di quel mio scritto giovanile che Nicola Pice ha letto, provocando la commozione mia ed anche degli altri partecipanti all’incontro: «Ma il messaggio che dobbiamo cogliere da quella fantastica esperienza politica [cioè, della democrazia ateniese] (naturalmente analizzata storicamente) è quello di un modo diverso di far politica, è quello di un diverso rapporto tra leaders politici e masse, è quello di una necessaria partecipazione popolare alla via politica, è quello di superare gli strumenti tradizionali delle democrazie occidentali di abbattere la teoria elitista con la sua visione del ‘politico professionista come eroe’, è quello di costruire una società diversa, a misura di uomo, del popolo e per il popolo, in cui difatti il libero sviluppo di ciascuno sia condizione indispensabile del libero sviluppo di tutti».

Un testo giovanile, forse anche un po’ ingenuo, scritto 38 anni fa, che, come ha detto il mio professore di allora, sembra ispirare ancora l’odiernoimpegno civile e politico.

Articolo pubblicato in L'Attacco, 21.2.2013
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